Educare significa essere rilevanti rispetto al percorso evolutivo del prossimo. In questo senso la comunità intera può aver un ruolo educativo o “educante” (Frabboni, 1989; Frabboni – Montanari, 2006; Baldacci – Pinto Minerva, 2015), indipendentemente dalle caratteristiche e dall’età dei membri della comunità stessa. La nostra azione educativa si colloca, quindi, in un sistema di “messaggi”, modelli e riferimenti altrettanto in grado di educare (o mal-educare).
Da un punto di vista dinamico, l’educazione indica il processo mediante il quale l’individuo umano si realizza […] e si adatta all’ambiente. Dal punto di vista del risultato indica le modificazioni che avvengono in lui e nel suo modo di comportarsi (Giugni, 1998).
Quando l’educare assume un’intenzionalità ne consegue una presa di responsabilità circa la formazione, la partecipazione, lo sviluppo, il benessere e la tutela dei diritti dei soggetti rispetto ai quali si intende essere educatori, siano essi bambini, ragazzi, giovani, adulti o anziani (Erikson, 1950-1987; Demetrio, 1994-2005). Questa responsabilità e questa intenzionalità vanno messe a disposizione del destinatario dell’azione educativa, lasciando che sia il soggetto stesso a costruire ed elaborare la relazione con ciò che gli viene messo a disposizione in termini di esempi, modelli ed esperienze (Rogers, 1983).
L’evento educativo […] è un insieme di conoscenze negoziate ed elaborate da soggetti in situazione che usano l’interazione e la comunicazione per produrre modi di agire e di pensare (Caronia, 1997).
Il nostro agire educativo si esprime in gran parte in contesti informali ed è veicolato in prima istanza dalla relazione, parte integrante di un dispositivo formativo (Massa, 1987) che presidia l’organizzazione di tempi, spazi, corpi, attività, metodi, tecniche, setting, mezzi, strumenti, riti e simboli.
In quanto polo di una relazione, l’educatore deve saper “essere” prima di saper “fare” e deve contenere in sé un bagaglio di coscienza, responsabilità e consapevolezze – anche riferite ai propri limiti e alle proprie fragilità – prima di assumere l’importantissimo compito di affiancare uno o più soggetti nel loro percorso di maturazione, utilizzando a questo scopo gli strumenti culturali, scientifici, creativi e tecnici che ha saputo acquisire e sviluppare al fine di affermare, all’interno della realtà educativa di riferimento, valori condivisi.
Il soggetto, portatore del suo passato e della sua storia, di cui in parte è consapevole in parte no, porta se stesso in situazioni formative dove incontra altri nelle sue condizioni. Si dà vita a situazioni esperienziali e formative complesse fatte di luci e ombre, di chiaroscuri, in cui il senso degli eventi è tutto da comprendere, decifrare, interpretare. Queste caratteristiche connotano la storia di formazione del soggetto così come la sua esperienza formativa attuale, sia come formatore sia come soggetto in formazione (Riva, 2004).
Nello specifico, in un contesto in cui le differenze, gli ideali e i valori vengono spesso risucchiati in una competizione dove i principi dominanti rischiano di essere imposti, il Circolo Vega s’impegna a tutelare la dignità dell’individuo e la sua possibilità di autodeterminarsi attraverso il sostegno, la promozione e l’attuazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (ONU, 1948) e della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia (ONU, 1989); crediamo infatti fermamente che tali diritti debbano essere tutelati dal momento della nascita e che il grado in cui essi sono garantiti nella fase precoce della vita incida sull’intera biografia individuale.
Educare ai diritti comporta un accompagnamento alla conoscenza e all’esercizio degli stessi, ma anche all’utilizzo delle procedure legali per la loro applicazione, oltre alla realizzazione di attività che consentano di farne esperienza diretta in un clima educativo sereno e capace di favorire uno sviluppo armonico della personalità.
L’azione educativa avviene in un sistema complesso (Bateson, 1972; Brofenbrenner, 1979; Bruner, 1986-1990) di cui l’educatore non ha il monopolio. Ciò richiede la capacità di valutare la propria condotta, la consapevolezza di agire in un contesto vario e mai del tutto coerente e la tensione a considerare la posizione che il destinatario del nostro agire educativo occupa in questo contesto, ancor più nell’attuale momento storico in cui culture diverse si avvicinano e interagiscono a tal punto da evidenziare altri modi possibili di essere che, nel loro diritto di esistere, mettono in moto confronti, scontri e sicuramente spunti per leggere con occhi diversi la nostra identità. Pertanto ci riconosciamo in una visione laica dell’educazione che, in un’ottica di uguaglianza, libertà e rispetto, consenta a ciascuno la massima espressione, combattendo ogni discriminazione e impedendo allo stesso tempo che le varie forme di potere in azione comportino la prevaricazione di un’idea o di un credo sugli altri.
L’atteggiamento laico […] è basato sulla tolleranza, sullo spirito critico, sull’antidogmatismo, sulla critica dell’esistente e soprattutto sulla messa in discussione dell’assoluto(Ocone, 1999).
Attribuiamo all’educazione uno stretto rapporto con la dimensione della cura nella sua accezione più ampia e comprensiva, dal momento che essa, lungi dal ridursi a mera tecnica funzionale, “è risposta dell’essere in cammino verso qualcosa, verso l’attuarsi di qualcuna delle proprie [o altrui] potenzialità” (Mortari, 2015). In questo senso la cura è di per sé già formazione in quanto “pratica dell’agire con attenzione” (Formenti, 2009) essenzialmente connessa all’esistenza in cui si radica, preoccupazione o sollecitudine che schiude orizzonti possibili (Heidegger, 1976; Galimberti, 1987; Palmieri, 2000).
Crediamo in un’educazione partecipata (Hart, 1992-1997) che favorisce l’espressione, l’affermazione e lo sviluppo del potenziale umano del singolo all’interno della comunità in termini di costruttività, creatività e responsabilità. La partecipazione è tanto più significativa quanto più è diffusa e condivisa tra gli individui, in modo che ciascuno possa essere, all’interno del proprio contesto, protagonista riconosciuto per le proprie risorse e i propri bisogni.
Il dialogo e la cooperazione sono ingredienti e prodotti della partecipazione e mettono in evidenza le implicazioni di solidarietà, equità e pace che questa comporta.
I processi di partecipazione sono indubbiamente lenti e faticosi ma conducono a risultati condivisi e stabili.
Non ci possiamo dunque esimere dallo svolgere azione politica quale impegno etico declinato in azioni concrete che originano dal – e si riflettono sul – territorio, a partire dall’individuazione dei bisogni più vicini ai cittadini. “Fare politica” comporta, pertanto, una responsabilità collettiva che, prendendo le distanze dalle diffuse degenerazioni del termine e riscoprendo l’originario significato di governo della polis (Aristotele), ossia del territorio, non si connota come adesione a un partito o a uno schieramento, ma come partecipazione attiva, confronto e dialogo con le istituzioni. I nostri interventi sono, infatti, volti anche a sensibilizzare coloro i quali hanno il potere di prendere decisioni che si concretizzano in interventi e azioni per la cittadinanza.